Unomattina

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Franco Di Mare commenta la vicenda di di Gabriele Micalizzi, il fotografo italiano ferito in Siria dalle schegge di una granata. Il destino è arrivato con passi felpati alle sue spalle e alcuni frammenti lo hanno colpito all'occhio. Adesso Gabriele è rientrato in Italia ma ha un occhio al momento alquanto compromesso. Ecco, sembra incredibile che il destino possa fare capolino nella vita di un fotografo chiudendogli un occhio, come se gli volesse impedire di vedere e di ritrarre l'orrore del mondo. Ma a completare la metafora assurda, c'è il fatto che a salvare la vita a Gabriele Micalizzi è stata proprio la sua macchina fotografica, il suo terzo occhio, che gli ha fatto da scudo al volto e dunque si è presa le altre schegge che altrimenti lo avrebbero colpito, forse portandogli via del tutto la vista, più probabilmente uccidendolo. Gabriele ha scritto che appena si rimetterà in ordine tornerà in Siria. Qualcuno penserà che vuole sfidare il destino… Non è un eroe né ci tiene a diventarlo. È un professionista che fa il suo lavoro con senso civico e senso della responsabilità. Robert Capa, il padre di tutti i fotografi di guerra, autore di scatti che sono passati alla storia diceva che: "Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino". Fare foto da vicino vuol dire essere testimoni, vuol dire diventare gli occhi, lo sguardo di chi è lontano e non sa, e non capisce, e non immagina quello che sta succedendo.
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